sabato 26 settembre 2020

Il centrodestra primo alle Camere con qualunque legge elettorale


Qualora venisse cambiata la legge elettorale adottando il cosiddetto Germanicum, verrebbe meno la parte maggioritaria e i seggi sarebbero assegnati con metodo proporzionale e una soglia di sbarramento al 3% o, in alternativa, al 5% su base nazionale (o del 15% in una regione), riconoscendo il cosiddetto diritto di tribuna a chi non supera la soglia, ma ottiene il quoziente pieno in almeno tre circoscrizioni di due regioni differenti.

Nel caso di sbarramento al 5% potrebbero entrare alla Camera sette forze politiche (le cinque principali più Italia viva e Svp) e sei al Senato (Italia viva infatti non conquisterebbe il diritto di tribuna), mentre se la soglia fosse fissata al 3% sulla base delle intenzioni di voto attuali si aggiungerebbe Azione di Carlo Calenda che potrebbe entrare alla Camera ma non al Senato.

Indipendentemente dalla soglia di sbarramento, il Germanicum, così come il Rosatellum, assegnerebbe la maggioranza al centrodestra:

infatti con la soglia al 5%
Lega, Fdl e FI otterrebbero 219 seggi alla Camera e 112 al Senato

Un'eventuale alleanza giallorossa (Pd, M5S e Iv) si attesterebbe a 179 e 86 seggi.

Maggioranza più risicata per il centrodestra con la soglia del 3%:

206 seggi alla Camera e 108 al Senato.
In questo caso una ipotetica coalizione giallorossa otterrebbe 179 e 90 parlamentari.
 

Corriere della Sera-Nando Pagnoncelli

venerdì 25 settembre 2020

La sinistra è morta, irrilevante, pensa solo alla sopravvivenza


Il requiem di Bertinotti

Così morta da dover “rinascere dalle sue ceneri”. Perché il giochetto della “sopravvivenza”, ormai, davvero non può più reggere. Fausto Bertinotti interviene sul risultato delle regionali e certifica che il Pd ha poco da festeggiare.

 Bertinotti stronca la sinistra politica: “È morta”

 Per Bertinotti “l’importante è smetterla con la concezione della sopravvivenza. La sinistra deve rinascere dalle sue ceneri inserendosi con forza, come sta facendo in alcune realtà, nella società, cercando di capire e di passare all’azione. Deve stare dentro i fenomeni inediti e non continuare a porsi il problema della continuità. Non serve”. Dunque, l’ex segretario di Rifondazione Comunista identifica per la sinistra una crisi profonda, della quale le forze coinvolte stentato a comprendere il contesto, “il perché, che – spiega in una intervista al Quotidiano nazionale – è insieme della politica e della democrazia”. Bertinotti non salva alcuna componente della sinistra. Per lui in questa crisi “innesta la debolezza della sinistra cosiddetta rivoluzionaria, ma anche di quella cosiddetta riformista“. E allora occorre “un’analisi radicale e volutamente provocatoria. Basta con le vecchie categorie. Basta col Novecento. Ribaltiamo il nostro modo di ragionare. La sinistra politica tradizionale è morta. Non esiste più”.

 

Il vuoto nella rappresentanza italiana

Il giudizio è impietoso: “La sinistra – rimarca l’ex presidente della Camera – è altrove. Nella società. Confusa, frastagliata. La sinistra civile esiste. Però si basa su presupposti diversi. Le sigle che vediamo sono irrilevanti. Le novità vanno cercate altrove. Ad esempio negli Stati Uniti con le proteste degli ultimi mesi. Oppure in Francia: a Marsiglia, dopo un quarto di secolo, si è riconquistata la guida della seconda città transalpina con una formazione rosso verde tutta nuova, inedita, che si occupa di problemi veri, tangibili, reali. Un po’ come era successo con Podemos in Spagna. Ecco, la sinistra – conclude Bertinotti – si è inabissata nella società, ma non ha rappresentanza politica vera. O, se la ha, è irrilevante”.

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lunedì 21 settembre 2020

Rivolta dei migranti all’hotspot in Sardegna

 Non ci piace stare qui. E lanciano pietre agli agenti

La polveriera dell’Hotspot di Monastir, nel sud della Sardegna, sul punto di esplodere. Poco fa, un giovane migrante appena sbarcato, appende uno striscione dal tetto del centro, in cui annuncia lo sciopero della fame per protestare sulla sistemazione a lui non gradita. La situazione degenera nel giro di pochi minuti. E dalle rivendicazioni di un singolo su sistemazione e pasti, si passa a una vera e propria rivolta di clandestini africani: con tanto di lancio di pietre dalla sommità della struttura contro la polizia.

Rivolta di migranti africani all’hotspot di Monastir

Dunque, ancora tensione al centro migranti di Monastir. Non è la prima volta, infatti, che la struttura sale ai disonori della cronaca. Fughe e risse tra gli ospiti, che hanno animato soprattutto le ultime settimane, sono praticamente all’ordine del giorno. L’incolumità degli agenti in servizio in quella trincea è seriamente messa a rischio. Oggi, l’ennesimo, gravissimo episodio che allunga la scia di ordinaria violenza all’interno del centro, lo testimonia una volta di più. Le immagini, rilanciate su Twitter da RadioSavana, parlano senza bisogno di aggiungere molto altro. Se non parole di solidarietà per gli uomini del Reparto Mobile di Cagliari e i mezzi di servizio, bersaglio della virulenta sassaiola partita dal  giovane migrante nordafricano all’indirizzo delle forze di polizia presenti.

Sassaiola contro gli agenti: l’ennesimo grido di allarme delle forze dell’ordine

Il sindacato Es Polizia, con Vincenzo Chianese e Marco Grandi (segretario generale e di Es Cagliari rispettivamente), denunciano il caso. E, come riporta tra gli altri in queste ore il sito de L’Unione sarda, mettono l’accento sulla «struttura che ospita il Centro di accoglienza straordinaria, che ha manifestato la sua palese inadeguatezza, mettendo a repentaglio l’incolumità di poliziotti, carabinieri e finanzieri. È inaccettabile». Ci si augura che almeno quest’ultimo grido di allarme venga ascoltato.

Hotspot di Monastir (Sardegna): rivolta dei clandestini africani che lanciano sassi contro la Polizia. Ci vuole il blocco navale immediato, in Italia non deve entrare più nessuno illegalmente, la nostra pazienza è morta. Governo Conte indegno. 

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venerdì 18 settembre 2020

Il Ponte di Calatrava è un cazzotto nello stomaco.

Venezia non merita i capricci narcisi delle archistar

giovedì 17 settembre 16:34 - di Fabio Rampelli

Andare a Venezia e sostenere una conferenza stampa in un albergo storico posto sotto il Ponte moderno di Calatrava mette l’ansia. L’armonia leggiadra della Laguna, le facciate merlettate dei palazzi di ricchi mercanti. Le palificate in legno conficcate nel terreno morbido delle isole lagunari a consolidare a mestiere il limo. Il largo uso della pietra bianca e impermeabile d’Istria sono colpiti da un cazzotto nello stomaco rappresentato da questo mostro d’acciaio e vetro voluto dall’allora sindaco rosso Massimo Cacciari.

Venezia, basta capricci autoreferenziali

Quando si ha la fortuna di guidare la ‘città unica e irripetibile’ si deve capire che basta vivere di rendita, con restauri, consolidamenti, ristrutturazioni, completamenti, riproduzioni e brigare con lo Stato per realizzare infrastrutture degne dell’età moderna. Ma l’architettura no, quella non la si deve toccare, semmai occorre ‘venezizzare’ Mestre e non ‘mestrizzare’ Venezia. Ma come si fa a dare l’incarico a manomettere la terra dei Dogi a un’archistar che ha fatto la sua fortuna progettando opere che ignorano il contesto in cui sono collocate in tutto il mondo? L’antitesi dell’identità, la costruzione anonima e spersonalizzata che si compone di capricci autoreferenziali e mette in mostra il progettista invece che l’architettura.

Il Ponte di Calatrava è un mostro da buttare giù

E poi ‘sto ponte’ nemmeno si sostiene a causa di una curvatura troppo ribassata. Spinge sulle due sponde che s’inabissano, fino al punto da aver costretto a far lavorare in eterno due enormi martinetti (a spese dei veneziani). Per non parlare delle cadute da parte dei turisti che scivolano, soprattutto d’inverno, sulle pedate della scala, inopinatamente realizzate in vetro. Perché non tutti gli architetti sanno, in special modo quelli miliardari, che il vetro è sdrucciolevole. L’obiettivo utopistico e idiota voleva essere quello di far attraversare il ponte dalla luce. Ma quale luce? Le lastre di vetro per sostenere il peso dei pedoni sono talmente spesse che hanno il colore dell’alabastro e non le trasparenze del cristallo. E Venezia è una città sull’acqua, tra le più umide al mondo. Non ci voleva una scienza  per capire che la condensa avrebbe trasformato i gradini in piste di pattinaggio e i pedoni ci sarebbero volati sopra come Carolina Kostner. Chi ha pagato fino a oggi i risarcimenti per le fratture procurate? Calatrava? Cacciari? No, le ha pagate il Comune di Venezia, cioè i cittadini contribuenti.

Fa più feriti di una guerra

Infine non si può non evidenziare che anche le conseguenze urbanistiche sono state negative. Perché il Ponte dell’architetto catalano ha spostato i flussi dalla sponda con esercizi commerciali e attività artigianali a quella della stazione ferroviaria. Creando un grave danno sociale ed economico. E ora, che fare? In epoche migliori si sarebbe fatta probabilmente autocritica. E immaginata una repentina demolizione del mostro, recuperando il tanto ferro e il vetro da impiegarsi in più nobili cause.

Servirebbe un ministro coraggioso

Oggi si troverà mai un ministro per i Beni culturali capace di dare un calcio nelle palle a un’archistar? Che sappia proteggere e incoraggiare un sindaco a purificare il territorio dai mostri (sacri, ma sempre mostri). E a restaurare il profilo della sua città (skyline) deturpato dai narcisisti? Ecco, la ricetta per il  ‘Pondulo di Calatrava’ può essere duplice. Buttarlo giù convocando i riciclatori di ferro che farebbero grande festa. Oppure chiedere agli artisti di tutto il mondo di acquistare ciascuno un gradino a 50mila euro l’uno per realizzare un’opera ruvida e rettangolare. Delle dimensioni di una pedata e chiudere con questa pagliacciata di un ponte che fa più feriti di una guerra. Perché la sinistra radical chic di Cacciari voleva vergare la Repubblica di Venezia con un ‘segno’. Il segno del provincialismo, della presunzione, dell’idiozia.

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mercoledì 16 settembre 2020

In Olanda la prima strada realizzata con plastica riciclata




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giovedì 3 settembre 2020

Una società parassita di massa

Covid, Ricolfi: «Ma quale modello italiano, siamo stati fra i peggiori e avremo un brusco risveglio»

mercoledì 2 settembre 11:44 - di Federica Parbuoni

Altro che modello italiano, da guardare con ammirazione e imitare. Il nostro Paese, di fronte all’emergenza Covid, si è dimostrato invece “disorganizzato”, non reattivo, incapace “di far ripartire l’economia”. Una debacle, insomma. Di cui paghiamo le conseguenze sanitarie ed economiche, che saranno ancora più pesanti a partire dal primo semestre 2021. Non c’è appello nelle parole del sociologo Luca Ricolfi, che smonta punto per punto la narrazione sulla presunta validità dell’azione di governo di fronte alla crisi.

Ricolfi: “Ma come si fa a parlare di modello italiano?”

“A giudicare dai risultati, sconsiglierei qualsiasi paese di seguire il modello italiano, fatto di ritardi, disorganizzazione, leggerezza nel far rispettare le regole, incapacità di far ripartire l’economia. Siamo al 4° posto in Europa come numero di morti per abitante, e all’ultimo come andamento del Pil 2020”, ha ricordato il sociologo in una lunga intervista al Giornale. ”Come si fa a parlare di modello italiano? Se dovessi additare dei modelli, citerei piuttosto quello della Germania e quello della Corea del Sud. Sono due Paesi che molti media stanno descrivendo come attualmente più inguaiati di noi, ma che in realtà si stanno comportando meglio”.

Scuola e università ridotte a diplomifici

”Solo Belgio, Spagna e Regno Unito hanno un bilancio complessivo di morti (per abitante) peggiore di quello dell’Italia”, ha quindi sottolineato Ricolfi, non mostrando alcun ottimismo riguardo la situazione epidemica da Covid in Italia. “È necessario – ha proseguito – ripensare il sistema dell’istruzione. La qualità si è abbassata drammaticamente, e ora con la didattica a distanza si appresta a ricevere il colpo di grazia. Travolte dalle pressioni a promuovere, per dare all’Europa i numeri che pretende, scuola e università sono diventate macchine per produrre false certificazioni, o meglio certificati veri indistinguibili da quelli falsi”.

Nel 2021 arriverà un “brusco risveglio”

“Anche se la pandemia dovesse miracolosamente sparire nel 2021 – ha quindi avvertito il sociologo – il mondo occidentale si troverà ad avere perso ulteriori posizioni nella competizione con la Cina. Sul fatto che possa tornare il modello economico precedente ho i miei dubbi, almeno per l’Italia. Noi eravamo già una società signorile di massa in declino. Questi mesi li abbiamo usati per tappare le falle e congelare tutto, senza la minima attenzione a creare le condizioni di una ripartenza. Mi aspetto – ha chiarito – un brusco risveglio nel 2021, quando ci si accorgerà che non si può andare avanti in eterno con sussidi e blocco dei licenziamenti. Bisogna invece avere meno tasse e meno burocrazia per consentire ai produttori di restare sul mercato o di entrarvi. L’alternativa è di diventare una società parassita di massa, in cui una piccola minoranza lavora e la maggioranza – ha concluso Ricolfi – vive di trasferimenti”

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