Tribunale di Milano smonta accuse di frode fiscale a Berlusconi: “Fu un plotone di esecuzione”
Ci sono le prove che la
sentenza che condannò
Berlusconi al
carcere, nel 2013, e che diede il via al declino precipitoso di
Forza Italia, era una sentenza clamorosamente
sbagliata.
E perdipiù c’è il forte sospetto che lo sbaglio non fu dovuto solamente
a imperizia dei giudici, ma – forse: scriviamo dieci volte forse – a un
disegno politico del quale è difficile stabilire con precisione gli
autori.
Una persecuzione in piena regola? Decidete voi.
Vediamo
bene cosa è successo. Prima a grandi linee e poi nel dettaglio.
Berlusconi, come ricorderete, è stato condannato una sola volta (negli
altri
70 processi che ha subito è sempre stato o
archiviato o assolto o prescritto). Questa condanna – definitiva –
risale al 1 agosto del 2013 (allora Forza Italia viaggiava sopra al 21
per cento dei voti). La sezione feriale della
Cassazione che emise la sentenza di condanna era presieduta dal magistrato
Antonio Esposito (che oggi è un editorialista del
Fatto di Travaglio). Relatore era il magistrato
Amedeo Franco.
A sette anni di distanza emergono delle novità molto importanti, contenute in un supplemento di ricorso alla
Corte Europea
(contro la sentenza della Cassazione) presentato giorni fa dagli
avvocati di Berlusconi (Andrea Saccucci, Bruno Nascimbene, Franco Coppi e
Niccolò Ghedini). Le novità essenzialmente sono due: una sentenza del
tribunale civile di Milano che ribalta la sentenza penale; e una
dichiarazione del dottor Amedeo Franco – ripeto: relatore in Cassazione –
che racconta come la sentenza di condanna di Berlusconi da parte della
Cassazione
fu decisa a priori e probabilmente teleguidata. Per questa ragione era una sentenza molto lacunosa dal punto di vista giuridico.
Partiamo dal primo punto: la sentenza del tribunale
civile. È una storia paradossale. Succede questo: la sentenza di
condanna di Berlusconi (per frode fiscale) si basava sul presupposto che
Mediaset avesse comprato dei film americani attraverso la finta
mediazione di un certo
Farouk Agrama, pagandoli molto
meno di quello che Agrama fece risultare. La differenza tra prezzo vero e
prezzo falso fu equamente spartita. La metà la usò
Mediaset
per abbassarsi le tasse, l’altra metà Farouk Agrama la intascò e la
depositò in un conto svizzero. I magistrati sequestrarono il conto
svizzero di Agrama. Berlusconi cercò di spiegare che in quel periodo,
siccome faceva il presidente del Consiglio, non si occupava
dell’acquisto dei film e tantomeno della dichiarazione dei redditi di
Mediaset. Ma i giudici di primo, secondo e terzo grado non gli
credettero. Sebbene la cifra evasa (
circa 7 milioni)
rappresentasse meno del 2 per cento dell’intera dichiarazione fiscale.
Il processo fu rapidissimo, a smentire la tradizionale lentezza dei
tribunali italiani. In primo grado, nel giugno del 2012, il Pm (quel
dottor De Pasquale, noto per non aver liberato il presidente dell’Eni
Cagliari ed essere partito per le ferie: nel frattempo Cagliari si
suicidò; e noto per avere inseguito inutilmente l’altro presidente
dell’Eni Scaroni, assolto) chiese 3 anni e otto mesi. La Corte arrotondò
a quattro. L’appello si concluse nel maggio dell’anno successivo,
confermando la pena, e tre mesi dopo, ad agosto, arrivò la sentenza
della Cassazione. Record olimpico di velocità.
A quel punto – incassata la condanna e scontata ai servizi sociali, e incassata anche l’
esclusione dal Senato
sulla base della Legge Severino, approvata in tempi successivi
all’ipotesi di reato e dunque, per la prima volta nella storia della
Repubblica e anche del Regno, con l’attuazione retroattiva di una legge –
incassato tutto ciò, Berlusconi (più precisamente Mediaset) si rivolse a
un tribunale civile in virtù di un ragionamento molto semplice: se
davvero, come dite voi, Agrama mi ha fregato tre o quattro milioni, me
li ridia.
C’è stata appropriazione indebita. Il tribunale
civile di Milano, con una recente sentenza, dopo aver esaminato tutte le
carte e ascoltato tutti i testimoni, e preso in considerazione tutti
gli atti dei processi penali, compresa la sentenza della Cassazione, ha
escluso che ci fosse appropriazione indebita, ha stabilito che
l’intermediazione non era fittizia, che la società di Agrama (che le
sentenze penali avevano dichiarato fosse un’invenzione) è una società
vera e propria e ben funzionante, e ha anche stabilito che non solo non
ci fu maggiorazione nelle fatture, ma che il prezzo al quale Mediaset
comprò era un ottimo prezzo. Diciamo che ha smontato a pezzettini
piccoli la sentenza di condanna di Berlusconi.
Ce n’è abbastanza per gridare allo scandalo? No: aspettate, aspettate.
È successo che dopo la sentenza, il dottor Franco (cioè, ricordiamo di
nuovo, il relatore in Cassazione) incontrò Berlusconi e commentò la
sentenza e l’andamento del processo. Berlusconi non era solo, quando
incontrò Franco, c’erano dei testimoni a questo colloquio, e uno dei
testimoni registrò. Tra poche righe ricopiamo parte della trascrizione
di questo colloquio. Prima vi diciamo che gli avvocati di Berlusconi
sostengono che in questi anni non hanno usato la registrazione per
rispetto del magistrato, che era rimasto in attività. L’altr’anno però
il dottor Franco è morto, e ora gli avvocati di Berlusconi hanno deciso
di usare la registrazione e l’hanno depositata nel ricorso alla Cedu.
Qui mi limito a trascrivere un po’ di frasi. Sono frasi che fanno
accapponare la pelle, specie se si pensa che questo magistrato non è uno
qualsiasi, è stato il relatore nel processo a Berlusconi e,
ragionevolmente, ne ha chiesto inutilmente l’associazione
Eccole qui.
«Berlusconi deve essere condannato a priori perché è un
mascalzone! Questa è la realtà… a mio parere è stato trattato ingiustamente e
ha subito una grave ingiustizia…
l’impressione che tutta questa vicenda sia stata guidata dall’alto… In
effetti hanno fatto una porcheria perché che senso ha mandarla alla
sezione feriale? … Voglio per sgravarmi la coscienza, perché mi porto
questo peso del… ci continuo a pensare. Non mi libero… Io gli stavo
dicendo che la sentenza faceva schifo…».
In una seconda
conversazione, sempre registrata, il dottor Franco sosteneva che
«sussiste una malafede del presidente del Collegio, sicuramente…». E
riferiva voci secondo le quali il presidente Esposito sarebbe stato
“pressato” per il fatto che il figlio, anch’egli magistrato, era
indagato dalla Procura di Milano per… “essere stato beccato con droga a
casa di…”. E poi diceva ancora: “I pregiudizi per forza che ci stavano…
si potesse fare…si potesse scegliere… si potesse… si poteva cercare di
evitare che andasse a finire in mano a questo plotone di esecuzione,
come è capitato, perché di peggio non poteva capitare…Questo mi ha
deluso profondamente, questo… perché ho trascorso tutta la mia vita in
questo ambiente e mi ha fatto… schifo, le dico la verità, perché non…
non… non è questo, perché io … allora facevo il concorso universitario,
vincevo il concorso e continuavo a fare il professore. Non mi mettevo a
fare il magistrato se questo è il modo di fare, per… colpire le persone,
gli avversari politici. Non è così. Io ho opinioni diverse della… della
giustizia giuridica. Quindi… va a quel paese…».
Fermiamoci qui. Che vi pare? In piena
magistratopoli
c’è una nuova conferma che è più grande di tutte le precedenti. Spesso,
molto spesso, la giustizia non ha niente a che fare con la giustizia.
Le sentenze, qualche volta, o spesso – non possiamo saperlo – sono
decise al di fuori dei processi e per motivi che non hanno niente a che
fare con l’accertamento della verità. Talvolta in questo modo si
rovinano vite. O reputazioni. Stavolta addirittura si è rovinato un
partito e deviato il corso della politica nazionale. State sicuri che
nessuno sarà chiamato a rispondere. Però fa rabbia. Figuratevi, Chi
scrive mai ha votato per Berlusconi e mai e poi mai lo voterà. Lui è di
centrodestra e io sono di sinistra, perché dovrei votarlo? Però sapere
che è stata fatta con questi metodi vigliacchi la battaglia contro di
lui, beh, sapere questo provoca dolore e paura.
Da "Il Riformista" di Sansonetti
Questa fogna a cielo aperto, braccio armato dalla sinistra per le "guerre" contro gli avversari politici di turno (Andreotti, Craxi, Berlusconi e oggi Salvini, la Meloni si prepari), ha impunemente mutato la nostra democrazia.
Oggi grazie ad un pentito togato saltano fuuori le nefandezze golpiste e sovversive.
Angelo Cuicchi